Il Thermopolium uno street food ante litteram
Recentemente è stato effettuato il ritrovamento di un thermopolium dagli scavi di Pompei, sepolto dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Il thermopolium era una tavola calda, con tanto di insegne, menu “disegnati”, anfore e contenitori con resti di cibo. La notizia del nuovo ritrovamento ha fatto il giro del mondo, molti hanno parlato di street food, o addirittura di fast food ante litteram.
Il thermopolium era un luogo di ristoro dell’antica Roma, dove era possibile acquistare cibi pronti e caldi per il consumo in loco, poiché i romani usavano pranzare spesso fuori casa. Attualmente i thermopoli rinvenuti si possono ammirare ad Ercolano e ad Ostia antica mentre sono 89 solo a Pompei.
Era un locale aperto sulla strada di piccole dimensioni con un bancone in muratura, decorato da lastre marmoree, nel quale erano incassate grosse anfore di terracotta, dette “dolia” che contenevano le vivande. Talvolta c’erano ambienti retrostanti dove ci si poteva sedere e consumare il pasto, probabilmente avevano una funzione simile ai moderni fast food. Il vocabolo ha origine greca, thermopolium, che letteralmente significa “spaccio di caldo” oppure “di cose calde“.
A questo punto la domanda è : Cosa si mangiava nei thermopoli e cosa offriva un locale del genere?
I cibi che venivano serviti erano raffigurati in pitture murali, all’interno e anche all’esterno del locale.
L’ipotesi più accreditata è che questi dipinti non avessero uno scopo artistico ma una funzione pratica di menù per indicare il cibo ed il servizio offerto in quel locale. Questo perchè il target era il popolo, schiavi e uomini di fatica che spesso non sapevano leggere.
Si trattava di legumi, verdure, uova, olive, cipolle, spiedini di carne, salsicce, cacciagione, pesci, formaggi, frutta secca o di stagione, focacce e dolci.
Un’altra fonte di indizi, sono i veri e propri ritrovamenti di resti alimentari nelle anfore e in altri contenitori di ceramica.
Dai reperti di cibo carbonizzato infatti si comprende che l’alimentazione dei romani era a base di verdura, frutta e di pane. La frutta e la verdura venivano vendute in gran quantità nelle botteghe insieme all’olio, tanto che Plauto chiamava i romani “mangiatori di erbe”.
Il punto di partenza per seguire la storia culinaria dei romani e dei thermopolia, però, sono stati gli scritti di autori latini come Apicio, Seneca, Columella e Plinio.
Questi grandi, hanno tramandato a volte ricette precise, altre descrizioni dei procedimenti o dei sapori, oltre agli usi e costumi associati al pasto.
Tra le specialità c’era un particolare tipo di cavolo. Plinio il Vecchio classificò circa 1000 piante commestibili, con le quali si producevano vari tipi di lattuga, cicoria, cipolle e aglio, broccoli di rapa, basilico, carote, crescione, porri, meloni, piselli, ceci, lenticchie, noci, nocciole, mandorle, e diversi tipi di frutta fresca: mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne.
Niente male, per essere un cibo da fast food ante litteram!
Pierluigi
on15 febbraio 2021 at 16:45 says:
l’Italia può continuare a costruire storie di riscatto, Pompei ci insegna questo.
Erminia
on15 febbraio 2021 at 18:39 says:
Italia-Storia-Arte-Cultura ça va sans dire!